Ho debito di ringraziala della bella ed efficace relazione, ch’Ella ha dato del mio lavoro nella “Hist. Zeit.”, tanto più perché io sono altamente lusingato che l’attenzione al mio libro sia rivolta da un maestro, che nelle dotte opere ho imparato ad amare e apprezzare, e per il quale nutro profondissima stima.
Mi permetta tuttavia di dolermi, ch’Ella non abbia giustamente inteso il carattere e gli intendimenti del lavoro. Ella, in tutta la recensione, mostra di credere a scopo del mio lavoro la questione delle origini del comune, se il comune provenga da corporazioni anteriormente esistente e costituite, o sia una creazione al tutto nuova.
Ora, se tale questione può considerati come a scopo subordinato del mio libro, non ne è per nulla il nocciolo principale ed esclusivo.
Mio intendimento era invece di dare la storia e il quadro giuridico delle associazioni nell’alto medio evo, imprendendo così un tema che, nel periodo da me studiate, non era mai stato oggetto di speciale monografia o di trattazione in qualche modo sufficente [sufficiente].
Per ciò attesi a rischiarare i caratteri giuridici delle seditiones rusticane, dell’associazione curtense di lavoro, della gilda, dell’associazione giurata dei Langobardi, della schola bizantina, delle fraternitates, delle vicinie, delle conspirationes; e di tutto ciò volli dare la storia.
In linea secondaria poi, dalle constatazioni storiche di quei tempi, mi vedevo tutto a oppugnare la teoria della derivazione del comune dalle corporazioni, accennando appena fugacemente ai reali fattori di quello. Ma, ripeto, le origini del comune non era problema da me proposto allo studio.
Ora, avendo frainteso il concetto fondamentale che mi guidava, è chiaro che Ella possa giudicare un lungo giro (“einen langen Anlauf”) quello che era invece proposito unico e principale del libro; si comprende come Ella possa indicare come inutili digressioni le pagine sulla gilda, sul feudalesimo e sul sistema curtense. Debbo dire tuttavia che queste critiche mi recano vivo dolore, perché invece io sono consapevole del vero scopo propostomi e del lavoro personale che ho durato, anche in quegli argomenti, ch’Ella dichiara superflui.
Onde, anche dopo le sue osservazioni, mi pare di potere affermare che nessuno aveva prima di me portato l’osservazione sui rapporti fra il sistema curtense e feudale e la storia delle corporazioni italiane; di poter dire che la trattazione di questi punti è stata fatta sempre sotto il riguardo al tutto nuovo delle associazioni italiane.
Il capitolo sulla gilda non è là per fare sfoggio della mia erudizione, come Ella mi accusa, ma è là per una dimostrazione giuridica: che le associazioni possono sorgere senza addentellato colle istituzioni consimili dei Romani. Qui il capitolo trova la sua ragion d’essere, e il lavoro non potrebbe farne a meno. Anche se dovrà essere riconosciuto come episodico, non credo che possa dirsi superfluo.
In fine della recensione, Ella sembra accennare che altri prima di me abbiamo sostenuto la mia medesima tesi. Mi permetta di negarlo recisamente. La derivazione del comune dalla libera unione, che io incidentalmente indico, è stata da molti altri pronunciata; né mai ho voluto contestarlo.
La negazione dell’ipotesi del Leo e delle dottrine dominanti in Italia sulla figliazione [filiazione] del comune dalle corporazioni, è, per quanto modesto e insufficente [insufficiente], tentativo mio, almeno per l’Italia.
In molti luoghi del mio libro ho riconosciuto invece quanto si debba di scientifici risultati al suo libro sulle costituzioni cittadine germaniche.
Inoltre dirò che non è stato mai mio proposito di divulgare in Italia i risultati delle ricerche germaniche; questo mi è sembrato sempre debito di cosciente studioso; ma prima e sopra questo mi sono affidato a una ricerca diretta e personale sulle fonti, in base alla quale sono arrivato a storiche constatazioni.
Mi permetta anche, per sola soddisfazione mia, di notare, che il mio libro non è stato da altri giudicato con tanta severità, come Ella adopera; e lo dimostrano i larghi studii [studi] ai quali ha dato occasione il mio lavoro, in Italia, del Lamattia (Archivio giur. NS. vol. II [1898] pp. 112-41) del Calisse (Riv. [rivista] intern. di scienze sociali, vol. XVIII, 1898, pp. 505-21) del Besta (Riv. [rivista] ital. di sociologia, II. 1898, pp. 656-61, 794-6; III 558n.) e di molti e molti altri valenti.
Risponderò, a un altro punto della sua rassegna. Non sono mai stato in Germania, non conosco la biblioteca di Berlino; ho trovato invece tutto il materiale, ch’Ella giudica ricchissimo, nelle varie biblioteche da me percorse; e soprattutto nella Nazionale di Firenze e nelle librerie di Roma, ove ho a lungo studiato.
Riconosco giusto l’appunto, che Ella mi muove, di sovrabbondare soverchiamente nelle citazioni; ma non vorrei che mi venisse di Germania il rimprovero che questa abbondanza dichiara recisamente opprimente (“erdrückend”).
Ho per la scienza storica tedesca profonda venerazione; credo che sia debito di ogni serio studioso di esaminare i risultati altrui per procedere poi da sé; ma non ho mai voluto fare pompa e ostentazione erudite.
Ma soprattutto mi addolora l’accusa che fa credere spesso inesatte e alcune volte ingiuste le mie citazioni. Fino a prova contraria, ho diritto di non credere a ciò; e l’esempio ch’Ella ne dà – lo dico con tutto il rispetto che ho per il suo sapere – non può essere argomento a suo favore, e la motivazione stessa del suo appunto mi dà perfettamente ragione.
Quando io ho detto l’ipotesi del Leo dominante, ho inteso di riferirmi al nerbo fondamentale di essa, non alle varietà che da essa derivavano.
La Storia dei mun. [municipi] Ital. (che io cito nell’edizione ital., abbastanza accreditata presso di noi), al luogo da lei ricordato, si scosta infatti in una particolarità da ciò che era preciso intento del Leo, ma vi si ricongiunge in modo ineccepibile per quanto era mio intento oppugnare, poiché ammette l’esistenza delle corporazioni e maestranze a dipendenza del re e dei signori, e non si oppone, in argomento tanto grave, all’ipotesi del tributo.
Se l’aderenza all’opinione del Leo poteva essere, per quanto riguarda la Storia dei munic. [municipi] ital., limitata, non si può tuttavia accusarmi così apertamente di errore.
Dopo questa autodifesa, sento bisogno di assicurarla che la sua recensione mi è preziosa, poiché è onorevole attestato di attenzione per parte di un maestro. E mi è cara l’occasione che mi dà modo di confermarle la mia profonda stima, la mia sincera venerazione. Accolga con animo benevolo queste mie parole di difesa, e mi creda per sempre il suo
Ich danke Ihnen für den schönen und wirkungsvollen Bericht, den Sie meiner Arbeit in der "Historischen Zeitschrift“ gewidmet haben, umso mehr, als ich mich sehr geschmeichelt fühle, dass die Aufmerksamkeit, die meinem Buch zuteilwird, von einem Meister ausgeht, den ich in seinen gelehrten Werken zu lieben und zu schätzen gelernt habe, und für den ich die tiefste Hochachtung empfinde.
Gestatten Sie mir jedoch zu bedauern, dass Sie den Charakter und die Absichten des Werkes nicht richtig verstanden haben. In der gesamten Rezension zeigen Sie, dass Sie glauben, dass das Ziel meiner Arbeit die Frage nach den Ursprüngen der Kommune ist, ob die Kommune aus bereits bestehenden und konstituierten Zünften hervorgeht oder eine völlig neue Schöpfung ist.
Nun, wenn eine solche Frage auch als ein untergeordnetes Ziel meines Buches betrachtet werden kann, so ist sie doch keineswegs der wichtigste und ausschließliche Kern des Buches.
Meine Absicht war es vielmehr, die Geschichte und den rechtlichen Rahmen der Vereinigungen im Frühmittelalter darzustellen und somit ein Thema aufzugreifen, das in dem von mir untersuchten Zeitraum noch nie Gegenstand einer speziellen Monographie oder einer in irgendeiner Weise ausreichenden Behandlung gewesen war.
Aus diesem Grund habe ich versucht, die juristischen Merkmale der bäuerlichen Aufstände, der fronhöfischen Arbeitsvereinigung, der Gilde, der eingeschworenen Gemeinschaft der Langobarden, der byzantinischen Schule, der Bruderschaften, der Vicinie (Dorfgenossenschaften), der Konspirationen zu erhellen; und von all dem wollte ich die Geschichte darstellen.
Zweitens sah ich mich dann, ausgehend von den historischen Erkenntnissen jener Zeit, ganz als Gegner der Theorie der Ableitung der Kommune von den Zünften, weil sie nur flüchtig auf die wirklichen Faktoren hinwies.
Aber, ich wiederhole, die Ursprünge der Kommune war kein Thema, das ich für die Studie vorgeschlagen habe.
Nun, da Sie das Grundkonzept, das mich leitete, missverstanden haben, ist es klar, dass Sie das, was stattdessen die einzige und wichtigste Absicht des Buches war, (nur) als „einen langen Anlauf“ beurteilen können; es ist verständlich, wie Sie die Seiten über die Gilde, den Feudalismus und das fronhöfische System als nutzlose Abschweifungen bezeichnen können. Ich muss jedoch sagen, dass diese Kritiken mir großen Schmerz verursachen, denn ich bin mir des wahren Ziels, das ich mir vorgenommen habe, und der persönlichen Arbeit, die ich geleistet habe, bewusst, selbst bei den Themen, die Sie für überflüssig erklären.
Daher glaube ich auch nach Ihren Bemerkungen behaupten zu können, dass niemand vor mir die Beobachtung über die Beziehungen zwischen dem fronhöfischen und feudalen System und der Geschichte der italienischen Zünfte vorgebracht hatte; sagen zu können, dass die Behandlung dieser Punkte immer unter dem völlig neuen Aspekt der italienischen Vereinigungen erfolgte.
Das Kapitel über die Gilde dient nicht dazu, meine Gelehrsamkeit unter Beweis zu stellen, wie Sie mir vorwerfen, sondern es dient einer juristischen Demonstration: dass die Vereinigungen ohne jegliche Verbindung zu ähnlichen Einrichtungen der Römer entstehen können. Hier findet das Kapitel seine Daseinsberechtigung, und das Werk könnte nicht ohne es auskommen. Selbst wenn es als episodisch anerkannt werden muss, glaube ich nicht, dass man es als überflüssig bezeichnen kann.
Am Ende der Rezension scheinen Sie anzudeuten, dass andere vor mir die gleiche These aufgestellt haben. Erlauben Sie mir, dies entschieden zu verneinen. Die Ableitung der Kommune von der freien Vereinigung, auf die ich beiläufig hinweise, ist von vielen anderen ausgesprochen worden; ich habe sie auch nie bestreiten wollen.
Die Leugnung der Hypothese Leos2 und der in Italien vorherrschenden Doktrinen über die Abstammung der Kommune von den Korporationen ist mein Versuch, so bescheiden und unzureichend er auch sein mag, zumindest für Italien.
An vielen Stellen in meinem Buch habe ich jedoch anerkannt, wie viel wir seinem Buch über die germanischen Stadtverfassungen an wissenschaftlichen Ergebnissen verdanken.
Im Übrigen werde ich sagen, dass es nie meine Absicht war, die Ergebnisse der germanischen Forschungen in Italien zu verbreiten; dies erschien mir immer als die Pflicht eines bewussten Gelehrten; doch habe ich mich zuvor und darüber hinaus auf eine direkte und persönliche Quellenforschung gestützt, auf deren Grundlage ich zu historischen Erkenntnissen gelangt bin.
Erlauben Sie mir auch, zu meiner eigenen Befriedigung festzustellen, dass mein Buch von anderen nicht mit solcher Strenge beurteilt wurde, wie Sie es tun; und dies beweisen die umfangreichen Studien, zu denen mein Werk die Gelegenheit gegeben hat, in Italien von Lamattia (Archivio giur. NS. Bd. II [1898] S. 112-41), von Calisse (Riv. intern. di scienze sociali, Bd. XVIII, 1898, S. 505-21), von Besta (Riv. ital. di sociologia, II. 1898, S. 656-61, 794-6; III 556n.) und von vielen, vielen anderen talentierten Menschen.
Ich werde auf einen anderen Punkt in Ihrer Rezension eingehen. Ich bin nie in Deutschland gewesen, ich kenne die Bibliothek von Berlin nicht, aber ich habe das gesamte Material, das Sie als sehr reichhaltig einschätzen, in den verschiedenen Bibliotheken gefunden, die ich besucht habe; und vor allem in der Nationalbibliothek Florenz und in den Buchhandlungen in Rom, wo ich lange studiert habe.
Ich erkenne die von Ihnen geäußerte Kritik an meiner überwältigenden Überfülle an Zitaten als gerechtfertigt an; aber ich möchte aus Deutschland nicht den Vorwurf hören, der diese Überfülle als entschieden erdrückend erklärt.
Ich hege eine tiefe Verehrung für die deutsche Geschichtswissenschaft; ich halte es für die Pflicht eines jeden ernsthaften Gelehrten, die Ergebnisse anderer zu prüfen, um dann auf eigene Faust fortzufahren; aber ich wollte nie wissenschaftlich angeben und prahlen.
Vor allem aber schmerzt mich der Vorwurf, der glauben macht, meine Zitate seien oft ungenau und manchmal ungerecht. Bis zum Beweis des Gegenteils habe ich das Recht, dies nicht zu glauben; und das von Ihnen angeführte Beispiel - ich sage das mit allem Respekt vor Ihrem Wissen - kann kein Argument zu Ihren Gunsten sein, und schon die Motivation selbst Ihres Vorwurfs gibt mir vollkommen Recht.
Als ich von der Hypothese des dominanten Leo sprach, habe ich beabsichtigt, mich auf den grundlegenden Kern dieser zu beziehen, nicht auf die Varianten, die von dieser herrührten.
„Die Geschichte der italienischen Staaten“ (die ich in der italienischen Ausgabe zitiere, die bei uns recht anerkannt ist), weicht an der von Ihnen erwähnten Stelle in der Tat in einer Besonderheit von dem ab, was die genaue Absicht Leos war, aber schließt sich ihr in einer einwandfreien Weise an, soweit es meine Absicht war, sich ihr zu widersetzen, weil sie die Existenz von Korporationen und Arbeiterschaft in Abhängigkeit vom König und den Herren zugibt und sich nicht in einer so ernsten Angelegenheit der Hypothese des Tributs widersetzt.
Wenn das Festhalten an Leos Meinung, soweit es die „Die Geschichte der italienischen Staaten“ betrifft, begrenzt sein konnte, so kann man mich doch nicht so offen des Irrtums bezichtigen.
Nach dieser Selbstverteidigung ist es mir ein Bedürfnis, Ihnen zu versichern, dass Ihre Bewertung für mich sehr wertvoll ist, denn sie ist ein ehrenvolles Zeugnis der Aufmerksamkeit von Seiten eines Meisters. Und mir ist die Gelegenheit lieb, die mir die Möglichkeit gibt, meine tiefe Wertschätzung und meine aufrichtige Verehrung zu bekräftigen. Nehmen Sie diese Worte meiner Verteidigung mit wohlwollendem Herzen an, und betrachten Sie mich für immer als Ihren